La vendemmia è appena iniziata con il Ciliegiolo e l’estate si è subito ritrovata registrata nelle sembianze dei grappoli: magri, allungati, sottili, sanissimi. Anche il mosto tanto denso, fatica a lasciare la pigiatrice per il tino di fermentazione: colore forte, fruttato intenso.
La sera, pago di una stanchezza felice, sento la necessità di camminare nel podere alla Santa Francesca, sotto Saturnia, un’immersione nel buio, un ristoro necessario sotto un silente cielo nero di stelle, mentre il concerto dei grilli e il volteggio di pipistrelli accresce il privilegio del luogo.
Ripenso all’estate appena trascorsa, potente, massiccia, lunghissima, senza uno scroscio d’acqua. Prontamente ricordo l’anno 2014, anno ‘senza estate’, con 21 giorni di pioggia a luglio. Due annate climaticamente così estreme non potranno ripetersi almeno per un po’ e rappresentano un’opportunità per prepararsi meglio nell’impegno di una viticoltura sostenibile, per un vino ‘naturale’, forte testimone di fatti ambientali e climatici ben definiti.
Nel cercare di avere ben rappresentato nel vino il momento temporale del territorio, le scelte fondamentali che anche la lunga siccità del 2015 ci insegna, dovrebbero comprendere:
- utilizzo esclusivo dei vitigni anticamente coltivati nella loro espressione di popolazione acclimatata. Essi si coltivano senza acqua di irrigazione artificiale ma occorre gestire con mestiere le disponibilità idriche naturali;
- collocazione dei vigneti nelle zone più estreme per limitato valore agronomico;
- protezione del terreno, gestione dell’acqua meteorica naturale, conservazione ed accrescimento della vita biologica nel terreno;
- coltivazione col minimo di interventi, equilibrio nelle rese di uva che annata e ambiente consentono;
- salubrità, autenticità di annata, testimonianza completa delle dinamiche meteo-ambientali;
Siamo consapevoli che la vigna non debba quasi mai occupare terre fertili e più idonee ad altre opportunità agricole e che, per collocare le vigne, non si debbano fare interventi variamente devastanti sul terreno originario, come livellamenti o massicci movimenti di terra, spietramenti e macinazione di sassi. Mi chiedo ancora come possa non esistere nel “giardino italico” una qualche regolamentazione che limiti scempi agricoli ambientali per produrre non un vino vero ma una commodity .
Già altre volte ho ricordato che dobbiamo instancabilmente impegnarci per nutrire la terra, non la vigna. La terra ‘buona’ è quella che troviamo sotto una pianta secolare o in un bosco consolidato. Nel coltivare la vigna riduciamo molto la biomassa vegetale che cade sul terreno esponendolo alla potenza del sole, delle piogge: la terra degrada, perde funzionalità vitale. Come fare?
Alla Maliosa dove la vigna si trova anche in terreni estremi per limitata dotazione nutrizionale ed idrica la tecnica colturale è indirizzata con ciclo chiuso totalmente vegetale. Non si acquista nulla all’esterno per fertilizzare né si utilizzano letami di origine animale. Il terreno si rende funzionale, per ritenzione idrica e vita biologica solo coprendolo con vegetali cresciuti in azienda. Dal bosco abbiamo capito che bisognava avvicinarsi a questa sorgente di vita per ottenere grappoli col gusto del luogo e dell’annata: fiduciosi ed appagati stiamo raccogliendo l’annata 2015 .