Sono nata nel 1968, e come la maggior parte dei bambini nati nelle città di quegli anni, sono cresciuta ad omogeneizzati, latte scremato a lunga conservazione, e ad olio di semi. Non voglio pensare a cosa comporterà nella salute dei miei prossimi decenni, l’alimentazione così assurda e strampalata di quegli anni, ma sospetto ovvie carenze di qualche tipo o una predisposizione a delle possibili malattie.
Certo che non dimentico la difficoltà dei bambini nati durante la guerra, che hanno vissuto una povertà sulla tavola, di ben altro tipo. Sono i nostri genitori, gli stessi che nel dopoguerra hanno giustamente recuperato quel bisogno di quantità fino ad arrivare all’ esagerata, ma comprensibile, opulenza degli anni successivi.
Gli stessi che erano stati convinti dalla pubblicità del carosello che il latte in polvere fosse meglio di quello della mamma e che l’olio di semi fosse più “leggero” perché un simpatico attore saltava un recinto di legno con una mano sola. Per l’intera infanzia mi sono chiesta che relazione potesse esserci tra i salti e quell’olio che non aveva molto sapore.
Non si può dire che io aiutassi nella volontà di una buona alimentazione: fino a 12 anni, ho vissuto il cibo come un fastidio. Trovavo sicuramente più divertente cucinare.
Poi un’estate, in visita con mio zio al Parco del Gran Paradiso in Valle D’Aosta ho bevuto il latte appena munto e bollito direttamente nel paiolo della baita e un mondo si è aperto davanti a me, un vero mondo composto da gusti e profumi mai contemplati prima di allora. Capisco che potrebbe sembrare un effetto “Heidi” e vi diverta, ma per me è stata una scoperta fondamentale.
E ad ignorare quel mondo non ero certo l’unica. I miei coetanei non sapevano nulla di animali di cortile e di trasformazione degli alimenti. Ho un ricordo buffo se penso ad un disegno di un albero della mortadella. Solo non ricordo e non so dirvi se l’ho disegnato io o se l’ho solamente visto, tuttavia si trattava di una visione errata.
Poi in Sicilia, in una bellissima azienda dei genitori di alcuni amici, ho assaggiato l’olio extra vergine d’oliva per la prima volta.
Credo di essermi mangiata un’intero filone di pane con quell’olio.
Vi dirò di più: non ho mai smesso di mangiare pane e olio extravergine da quella volta.
La mia passione si è tradotta in interesse, e nella volontà di proteggere un prodotto italiano che esprime l’intero territorio italiano e che sempre di più ha bisogno di essere valorizzato attraverso metodi di coltura biologica e biodinamica e comunicato nel mondo.
Oggi mia figlia Blanca, di 11 anni, si vanta di saper degustare l’olio a modo suo.
E io posso solo esserne orgogliosa.
Paola Sucato Aka Ci_polla