Ho avuto il piacere all’inizio di ottobre di essere invitata al World Living Soils Forum, importantissimo appuntamento internazionale, organizzato da Moët Hennessy e Change Now ad Arles, in Francia.

Un momento di riflessione fondamentale che parte proprio dalla ‘soils crisis’ in corso, altrettanto preoccupante, anche se meno nota della crisi climatica che tutti conoscono.


 La tutela e protezione del suolo e della sua biodiversità sarà una chiave per la creazione di un equilibrio tra natura e sviluppo economico. Un confronto importante tra agricoltori e operatori sul campo, imprese e attori economici, scienziati, istituzioni, protagonisti  dell’istruzione e della formazione, media, ONG e cittadini.

La vitalità del suolo e il mantenimento della biodiversità sono, sin dalle origini, il principio fondante della Maliosa e potersi finalmente confrontare su questi temi è stata un’esperienza di grande condivisione crescita per me. Il suolo, come emerso dal convegno, è la vera chiave di volta per il futuro e la sua protezione permette di garantire il mantenimento della biodiversità.

Bisogna ricordare che la biodiversità mondiale del suolo per i 2/3 si trova nel sottosuolo e che, nel tempo, è stata gravemente danneggiata dall’uso di pesticidi. Il loro utilizzo ha determinato, dagli anni ’50 del ‘900 a oggi, il 50% di perdita di sostanza organica nella UE. Inoltre non dobbiamo trascurare l’indicazione che il 10% dei pesticidi finisce nei prodotti alimentari e il 7% nell’acqua, causando danni alla salute e malattie. Anche l’inquinamento dell’aria è aggravato dall’uso di pesticidi, che evaporano in caso di pioggia.

La tutela e la cura del suolo è quindi quanto dobbiamo saper  trasmettere alla Gen Z, che dimostra grande attenzione per il tema della sostenibilità, rivelandosi poco disponibile ad ascoltare false affermazioni e attenta al proprio futuro. L’imperativo per chi fa agricoltura diventa quindi quello di lavorare per la tutela e la salvaguardia del suolo, di non utilizzare sostanze chimiche e pesticidi, di ridurre le emissioni di carbonio e di tutelare produzioni e ambiente. Il problema è che tutto questo ha oggi un costo estremamente alto per chi pratica agricoltura, costo che dovrebbe essere ribaltato sui prodotti venduti al consumatore. E finché una scelta di sostenibilità reale per un’azienda non sarà economicamente vantaggiosa, temo che sarà davvero difficile fare un passo avanti. 

Per questo, come emerso durante il Forum, è necessario ragionare di ecosistemi agroeconomici, altrimenti nessuna soluzione tecnica agricola funzionerà. Questo significa mettere  gli agricoltori nella condizione di avere un vantaggio economico per mantenere alta la qualità del suolo. La sfida è quindi la condivisione del capitale naturale: vogliamo che sia ecologicamente durevole, ma allo stesso tempo dobbiamo renderlo economicamente sostenibile.

Il punto di partenza è la capacità di misurare la propria biodiversità e di comunicare in modo trasparente con i consumatori, in cerca di informazioni corrette e attendibili. La cura del suolo e il mantenimento del proprio ecosistema consentono di ottenere prodotti migliori, più sani, più attenti alla salute e anche di ospitare i propri clienti in luoghi realmente naturali, diffondendo cultura e rispetto per l’ambiente.

Un costo importante, come ho già avuto modo di dire, per chi come noi lo fa da sempre, ma che si traduce in un investimento sul nostro futuro e su quello dei nostri figli. Per questo le aziende che compiono questo percorso dovrebbero essere sostenute, anche dal punto di vista legislativo, e dovrebbero poter ottenere, anche in Italia, una certificazione che attesti che sono aziende rigenerative, che realizzano un’agricoltura sostenibile e capace di fornire delle prospettive future.

E’ stato importante esserci per potersi confrontare, per capire come migliorare e per portare a casa la consapevolezza di essere sulla strada giusta.

Ringrazio Marta Mendonça e Cristina Crava di Porto Protocol Foundation per l’invito.

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