Piano di Indirizzo Territoriale (P.I.T) della regione Toscana: quale futuro?

Piano di Indirizzo Territoriale della regione Toscana

Prendo spunto dal dibattito che sta avendo luogo in questi giorni su carta stampata ed in rete e che ha visto spesso contrapporsi gli imprenditori e le associazioni agricole/vitivinicole agli enunciati esposti dal nuovo P.I.T (Piano di Indirizzo Territoriale) della Regione Toscana in particolare quando si rimanda a criticità derivanti da coltivazioni “intensive” in zone collinari(semplifico), il tutto, nelle intenzioni, a salvaguardia e valorizzazione di una certa idea di “Paesaggio agreste tipicamente Toscano” da cartolina.

Piano di Indirizzo Territoriale della regione Toscana

Premesso che quando parliamo di Toscana a tutti noi viene in mente quel dolce profilo collinare, talvolta terrazzato, coltivato a vite ed ulivo e magari attraversato da una strada bianca bordata di cipressi, in questo senso l’operatore agricolo rende un servizio alla collettività. Perché a prescindere dal suo “output” produttivo, la valorizzazione visiva  del paesaggio trascina realtà economiche differenti che non necessariamente coincidono con l’azienda sulla quale ha investito il suo lavoro e il suo capitale di rischio, come ad esempio il turismo e l’immobiliare.

Quindi è accertata la valenza inestimabile di un certo tipo di paesaggio toscano che ha fatto e fa desiderare a tutto il mondo di venire, almeno una volta nella vita, a guardarlo con i propri occhi, dall’epoca del Grand Tour in poi.

Ma si può chiedere che sia l’imprenditore il garante di questo? E può l’istituzione imporre alcune pratiche  agricole che potrebbero minare la redditività ed in ultima analisi la sopravvivenza dell’azienda?

Mi sembra che sfugga ad ambedue i proponenti la visione che il paesaggio è interesse di tutti ma non può essere un obbiettivo in sé “a qualsiasi costo”- altrimenti, perché non se ne fa carico lo stato? La salvaguardia del paesaggio Toscano dovrebbe invece essere conseguenza “virtuosa” di buone scelte e pratiche agronomiche. Come sostiene Lorenzo Corino, agronomo e ricercatore de La Maliosa: “una buona pratica agronomica, oltre a salvaguardare la redditività dell’agricoltore (e in ultima analisi la sua possibilità di competere in un mercato globalizzato) deve tendere a preservare la qualità biologica del “patrimonio suolo” e limitarne il più possibile la perdita: il territorio toscano tipicamente collinare è particolarmente vulnerabile.

Ebbene io credo che questo dovrebbe essere un punto di incontro e non di scontro perché suoli esauriti, stanchi, erosi non sono una garanzia per il futuro di nessuno, ma hanno, purtoppo ,alta probabilità di essere abbandonati.

Leggo interviste di imprenditori blasonati e non, finora paladini di vini iper-tecnologici e di sistemi di coltivazione intensivi, che parlano del biologico/biodinamico come della via del futuro. Mi si vuole spiegare come pensano di ottenere queste produzioni in presenza di suoli biologicamente esausti e quindi ancor maggiormente soggetti ad erosione, e che vengono affidati a interventi chimico- meccanici sempre più consistenti? Viaggiando sulle strade Toscane non è raro imbattersi in lunghissimi filari, 150/200 m., impiantati nella modalità monte-valle su versanti collinari molto ripidi. Sarebbe interessante anche fare le analisi del suolo all’inizio e alla fine di questi filari…

L’esperienza di altre regioni, vedi il Piemonte il cui paesaggio vitivinicolo è stato recentemente premiato dall’Unesco, sembra dimostrare come sia possibile praticare la viticoltura, anche intensiva e con le medesime problematiche “collinari” pur impiantando a “gira poggio”. Anche quello è paesaggio, anche quelle sono colline con versanti ripidi e anche quelle sono vigne!

Io credo che il legislatore faccia bene a dettare alcuni importanti indirizzi in questo senso, soprattutto per certi territori: ma se vuole ottenere il risultato forse bisognerebbe fare uno sforzo in più, agevolando, se non premiando, quegli agricoltori che si sobbarcano  costi aggiuntivi che ci sono  per impiantare vigneti più rispettosi della conformazione idrogeologica, ad esempio nel rispetto delle  curve di livello. O che adottano altresì pratiche di coltivazioni più salubri per la collettività salvaguardando la qualità dei suoli, limitando l’erosione e non ultimo evitando il rischio di inquinamento delle falde acquifere.

Partiamo allora dalla semplificazione della burocrazia agricola, spesso vessatoria (ma perché devo pagare uno studio di consulenza per compilare carte su carte, dal momento che se dovessi farlo io non avrei il tempo di occuparmi dell’azienda ?), incentiviamo gli impianti vitivinicoli “virtuosi” sgravando fiscalmente il costo del lavoro dovuto alla manodopera in più. Anche la scelta di non compattare il suolo con meccanizzazioni pesanti incompatibili con le pendenze ma ripensando al lavoro manuale…magari si darebbe anche una mano contro la disoccupazione.

Questi sono solo alcuni spunti da imprenditrice che ha scelto il biologico e la salubrità dell’ambiente agricolo e delle produzioni in tempi non sospetti. Io credo che il futuro dell’agroalimentare italiano non possa che giocarsi  su alta qualità, salubrità e valorizzazione dei territori.

Piano di Indirizzo Territoriale della regione Toscana

Il futuro passa da qui e la Toscana ha ottime carte da giocare ma deve giocarle bene, incoraggiando le buone pratiche, facilitando il lavoro di chi rischia i suoi soldi per un paesaggio che è un bene fruibile da tutta la collettività e non solo da lui…

Antonella Manuli

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